Scarlatto

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    Prologo.

    Fece cadere la carcassa a terra, ricevendo così uno schizzo sulla nuca.
    Poggiò l’indice sul proprio collo, esattamente dove il liquido l’aveva colpito.
    Riuscì ad avvertire il battito del proprio cuore, pensare che ogni movimento di quell’organo spostava litri di sangue lo eccitava ogni volta. Assicuratosi che il dito fosse sufficientemente impregnato del fluido lo posò sul muro, facendolo scorrere elegantemente.

    J.T.R.

    La scritta, d’un rosso scarlatto, concludeva l’enigmatica frase. Un ghigno di compiacimento comparve sul volto dell’uomo, che, sbattendo gli stivali rossi sul cemento, se ne andò allegro dal vicolo.





    Interrogatorio.


    Hailsham Michael, un rispettabile impiegato di un’importante multinazionale, sollevò faticosamente il didietro dalla sedia adiacente alla sua squallida scrivania grigia.
    Nel fare ciò afferrò il manico della propria valigetta e si diresse verso l’agognata uscita.
    L’insipida settimana lavorativa giungeva a termine, aprendo le porte a un gioioso, quanto ozioso, fine settimana.
    Uscito dall’edificio cercò la propria vettura, ricordandosi che quella mattina l’aveva sistemata più lontano del solito, guardingo dai poliziotti che ispezionavano l’area in cui solitamente sistemava l’automobile.
    Il Giappone è senz’alcun dubbio uno dei paesi più sicuri del mondo, o almeno per quanto riguarda l’incolumità cittadina, pensò Michael, peccato, che, quando la Luna ritaglia un angolo d’oscurità per sé, permettendo così al Sole d’illuminare l’altra parte del globo, questa svanisca, sovrastata da decine di ubriaconi o peggio.
    In un certo senso poteva definirsi un poeta moderno. Ogni tanto, nei momenti vuoti, prendeva blocco e penna e scribacchiava alcune frasi, senza alcun collegamento fra loro.
    Nonostante la sua osservazione sulla pericolosità delle strade notturne, il giovane predilesse la fretta di accomodarsi sul suo largo e morbido divano, alla propria sicurezza, decidendo d’addentrarsi in una delle viottole che circondavano le strade principali della città. Qui la sporcizia e l’olezzo proveniente da numerosi rifiuti che ingombravano il passaggio non passavano indiscreti, penetrando nelle narici dei rari passanti, che, con smorfie di disgusto, affrettavano passo, sperando di emergere da quella stradina malsana.
    Sfortunatamente si accorse troppo tardi che il vicolo terminava con un alto muro grigio, e quando giunse alla sua fine tirò un urlo spaventoso.


    Accertatosi che nella stanza non vi fosse nessuno, Light Yagami si accosciò su una poltroncina verdastra, circondata da altri spogli mobili. Poggiò la mano destra sulla fronte, stremato dagli avvenimenti accaduti. Near, Mello e un lugubre omicidio, ecco cos’aveva guadagnato a rubare il posto a quello strambo investigatore. Fece scorrere le dita verso l’alto, scompigliando i bei capelli castani.
    Matsuda era penetrato nella stanza, e osservava il superiore con aria incerta.
    «Light… E’ venuto.» L’avvisò osservando la moquette grigia come se fosse un quadro di Picasso.
    «Arrivo.» Yagami si alzò, sorpassò Matsuda che continuava a fissare il suolo, e girò il pomello dorato della porta meccanicamente, continuando a riflettere sui fatti avvenuti.

    Light osservava la sala dedicata all’interrogatori dal vetro nascosto, tuttavia dall’esistenza perfettamente intuibile. Un uomo sulla trentina, dall’aspetto sciupato, si affrettava raccontare gli eventi da lui vissuti come meglio ricordava. Era scosso, molto scosso, da quello che, malauguratamente, aveva visto.
    «Era, era lì… Distesa! Tutto rosso… Terribile.» Si affannava.
    L’interlocutore cercava di calmarlo con formali parole di conforto, sconfortandosi lui stesso quando l’uomo insisteva nell’ignorarlo.
    Gli occhiali rotondeggianti del ragazzo sobbalzavano ad ogni sua ansiosa parola. La visione del cadavere della donna doveva averlo proprio impressionato, o, era un ottimo attore.
    «Fatemi entrare.» Impose improvvisamente Light ai colleghi che osservavano l’interrogazione insieme a lui.
    «Devi proprio?» Mogi era, come al solito, impassibile nell’uniforme marrone.
    «Sì.» Sillabò Light.
    Entrò nella stanza bianca e salutò i presenti con un formale inchino.
    «Ci penso io.» Riferì all’agente. Questo si alzò lasciandoli la sedia.
    «Bene.» Esclamò il poliziotto congiungendo le dita sul tavolo.
    «E’ stato divertente, signor Hailsham?» La domanda comportò un’espressione stupefatta sul volto dell’interpellato.
    «P-per niente! E’ stato davvero terribile!» Si affrettò a rispondere Michael, preoccupato.
    «Capisco…» Sussurrò Light, sarebbe stato un lungo interrogatorio.



    George


    L’interrogatorio era andato avanti per diverse ore, composte da snervanti secondi ricoperti di spasmodiche parole e domande la cui risposta veniva raggirata con altre frammentarie frasi.
    Quindi, il pensiero di tornare al suo appartamento e gustarsi qualche prelibatezza, allettava persino il freddo Kira.
    Passò dalla sala di comando, rammentando d’aver dimenticato qualche documento di poca rilevanza. Stava frugando in uno dei tanti cassetti di cui era tappezzata la stanza quando lo schermo centrale s’illuminò di bianco, esaltando la N nera al proprio centro.
    Maledetto, mormorò Light tra sé.
    «Cosa c’è Near?» Domandò celando l’irritazione, dopo aver premuto il tasto con la “L”.
    «Aggiornamenti sul caso, L?»
    «Intendi quello di Kira? Perché no, non abbiamo scoperto molto.» Rispose vago.
    «No. Intendevo quello della donna morta. Ho sentito che la risoluzione del caso è stata affidata ad L, quindi a te.» L’informò Near con la consueta sfacciataggine.
    Perché un caso d’omicidio anonimo interessava un’associazione creato esclusivamente per catturare Kira? Per scoprirlo avrebbe dovuto procedere col discorso, quindi comunicò le poche informazioni ottenute attraverso l’interrogatorio di Michael.
    «Capisco… Quindi vi serve aiuto?»
    Aiuto? Dove voleva andare a parare?
    «Non capisco Near.» Rispose secco Light, era stufo di tutti quei tranelli.
    «L’SPK dispone di un celebre agente specializzato negli interrogatori del genere. Vi potrebbe servire il suo aiuto?»
    Light sapeva che se avrebbe rifiutato i sospetti su di lui e sul Quartier Generale sarebbero aumentati smisuratamente; inoltre con ogni probabilità Near disponeva già di tutti i profili dei membri del gruppo, quindi nascondersi, sarebbe stato inutile. Anzi, se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe avuto la possibilità d’annullare i sospetti creatosi su di loro.
    «Sì. Il suo nome?» Domandò quindi.
    «Non ve n’è bisogno.» Gli riferì. «Il nostro agente si troverà lì fra poco ore. Se mandassi qualcuno all’aeroporto a prenderlo mi faresti un piacere, L.» Light, parecchio infastidito dal modo in cui l’albino sottolineava il nome del suo predecessore, rispose seccamente, cercando d’evitare ulteriore, snervanti e futili discorsi.
    «C’andrò io stesso. Ciao.» Chiuse la comunicazione senz’attendere nemmeno le informazioni sul volo. Raggiunse l’uscita farfugliando i vari insulti fra sé. Salì sulla propria auto e si diresse all’aeroporto. Durante il tragitto non pensò ne all’agente in arrivo ne al caso che stava trattando, si chiedeva semplicemente se uccidere L fosse stato così conveniente come pensava, poiché finora ne aveva ricevuto solo seccature. Sceso dalla vettura imboccò l’entrata riservata agli arrivi. Farsi notare in mezzo a quella massa di gente starnazzante era impensabile, così decise di attenderlo all’estremità della stanza, con tutta probabilità Near l‘aveva avvertito su chi sarebbe venuto a prenderlo, e anche se non l’avesse fatto poco importava a Light.
    Dopo alcuni minuti un bel giovane dai capelli biondi e dagli occhi verdi coperti da una pesante montatura nera, l’osserva da dietro le lenti trasparenti.
    «Light Yagami?» Chiese non ricevendo rispose al suo sguardo.
    Light annuì continuando a fissare un punto indefinito, per lui sicuramente più interessante del ragazzo appena arrivato.
    Era stufo di fingere d’essere il bravo ragazzo, quando una recita dura troppo rischia di diventare noiosa. Ma tra poco sarebbe giunto l’atto finale, n’era più che sicuro: l’inizio del nuovo mondo, del suo nuovo mondo.
    «George, piacere!» Esclamò porgendogli la mano.
    Il moro osservò riluttante l’arto e, con distacco, glielo strinse, pensando a quanto avrebbe voluto trovarsi a casa.
    «Vieni.» Lo intimò voltandosi nella direzione d’uscita.
    «Certo, Sempai!» “Sempai?” Questo avrebbe per caso indotto ad un rapporto affettivo? Perché lui ne aveva già abbastanza di rapporti – con esseri umani e non – da mantenere.
    I ventiquattro minuti che congiungevano l’aeroporto alla casa di Light diventavano un’infinità quando, seduto accanto a te, un eccentrico straniero indicava ogni costruzione sul tragitto chiedendo di cosa si trattasse, per usare le informazioni ricevute come spunto per una nuova, lunga e noiosa discussione.
    L’idea che il ragazzo avesse potuto prenotare un albergo non aveva sfiorato Light, così questo si diresse al proprio appartamento, senza dare possibilità a George di contestare.
    Finalmente giunsero dinanzi alla neutra porta marrone che delimitava l’inizio dell’appartamento di Light. Quando il proprietario ne varcò la soglia, una biondina si alzò distrattamente dal divano, facendo così cadere il telecomando che teneva fra le mani, e gli corse in contro.
    «Light! Che bello, ti aspettavo!» Esclamò entusiasta.
    Light osservò Gorge scrutare con inappropriato interesse la donna.
    «Certo che sei un ottimo incantatore, eh Sempai?» Commentò sarcastico.
    Misa gli lanciò un’occhiataccia d’avvertimento e lo avvertì:
    «Siamo felicemente sposati.»
    «Allora non ho proprio possibilità.» Sorrise George.


    Gli Shinigami mangiano solo mele rosse.



    La mattina successiva i due neo colleghi si recarono al quartier generale.
    Questa volta George fu incredibilmente taciturno durante il tragitto, in fondo era un’agente rinomato per quel che faceva, rifletté Light, un minimò di serietà era d’obbligo.
    Quando giunse il momento delle presentazioni mostrò il suo lato carismatico ai nuovi colleghi, tanté che riscosse un discreto successo nella nuova base.
    Affermò che, prima d’interrogare Hailsham, avrebbe preferito consultare le informazioni – anche se limitate – concernenti il caso, per assicurarsi di porre le domande corrette.
    Così, nella sala principale, Light gli passò alcune cartelle, contenenti pochi fogli, dove vi erano scritte perlopiù dati legali.
    George, leggendole, spinse indietro la sedia, dove s’era accomodato, facendo sì che questa poggiasse sulle gambe posteriori.
    Intanto Light osservava inquieto quel movimento, se quell’uomo sarebbe finito all’altro mondo nel quartier generale, anche per mezzo di una stupida sedia, sarebbe stato un vero inferno per lui.
    Matsuda, con la solita grazia, entrò nella stanza, sbattendo l’anta della porta contro la parete.
    «Light, c’è stato un altro omicidio!»
    George rivolse uno sguardo d’intesa a Light, che fu subito ricambiato.
    «Andiamo.»

    Pochi minuti dopo si trovavano sulla scena del crimine. Il cadavere della vittima era in esame, quindi sul posto si potevano solo notare tante piccole macchioline marrognole, presenti un po’ ovunque, ad attestare che effettivamente in quel luogo, non troppo tempo prima, si fosse tenuto un omicidio.
    George, con le mani unite dietro la schiena, prese ad osservare l’area, mentre Yagami chiedeva a Matsuda se Hailsham avesse un alibi per l’ipotetica ora in cui era stato commesso il delitto.
    Questo annuì, rispondendo:
    «Sì, si trovava in casa alle undici e dieci, è uscito e ritornato alle undici e venti. Il delitto è stato commesso fra le undici e le undici e quindici. E’ impossibile giungere fin qui in meno di cinque minuti e ritornare ancora in minor tempo, con qualsiasi mezzo.»
    Perfetto, ora non avevano un solo indiziato, nessun possibile colpevole, dovevano ricominciare da zero.
    «Gli shinigami mangiano solo mele rosse.» La voce di George destò Light dai suoi pensieri, e fece voltare lui e gli atri presenti verso di sé.
    «Cosa?» Chiese Yagami, non capendo.
    «Ho detto: “Gli Shinigami mangiano solo mele rosse.”, guardate, c’è scritto qui.”» Indicò la parte bassa del muro marrone.
    Il gruppetto si avvicinò e constatò l’esistenza della frase. Le parole, scritte con un inchiostro molto simile al colore dello sfondo, che inchiostro non era, erano quelle usate da Kira, con l’aggiunta dell’aggettivo “rosse”. Cosa voleva significare? Che fosse una burla, un modo per confondere i poliziotti?
    George, rimasto rivolto di spalle finora, si girò, esibendo uno splendido sorriso:
    «So chi è l’assassino.» Sentenziò. «E anche l’identità della sua prossima vittima.»


    Ritorno.



    Tutti si fermarono, in attesa di delucidazioni, ma queste non arrivarono e George saltò euforico nell’auto appostata pochi metri più in là, facendo cenno agli altri d’imitarlo.
    Il viaggio, per il gruppetto, fu una vera agonia.
    Continuavano a fissare il biondo in cerca di spiegazioni, ma questo, calmatosi, osservava imperterrito il paesaggio dal finestrino, tenendosi il mento tra le mani.
    Gli aveva indicato un indirizzo preciso, con tanto di numero civico.
    Così, dopo una ventina di minuti, si ritrovarono in un locale. Gli accolse un arredamento moderno e sofisticato; la clientela era composta da soli giovani, ognuno in mano – destra o sinistra che fosse – portava un bicchiere ormai vuoto.
    C’era chi parlava allegramente con gli amici, chi ballava e ancora chi restava in disparte, appoggiato sul bancone del bar, a dissolvere le proprie preoccupazioni nell’alcool. Comunque non v’era traccia d’assassini.
    George vagò con lo sguardo per la sala, ma si fermò quando vide una chioma mora venirli incontro.
    La ragazza doveva essere un po’ brilla a giudicare dalla sua andatura allegra e goffa. Lui le sorrise e attaccò bottone per primo:
    «Oh Celia, diventi sembra più bella.» Si complimentò.
    Le guance della giovane si colorarono di una sfumatura purpurea, e mormorò un flebile “Grazie”.
    «Senti, ho sentito dire che il Sempai si trovava da queste parti, tu l’hai visto?»
    Lei annuì rivolgendogli un bel sorriso.
    «Il tipo stravagante?»
    George fece segno di sì col capo, le pupille verdi si restrinsero, segnalando l’interesse per l’informazione.
    «Che coincidenza!» Esclamò allora lei. «Lo visto passare di qui, pochi minuti fa, l’ho salutato ma lui non mi ha neanche guardato, a volte i maestri hanno degli atteggiamenti davvero insopportabili.»
    «Grazie!» Le disse il biondo stringendole la mano. «Mi sei stata davvero utile, uno di questi giorni dobbiamo uscire insieme, okay?»
    Le fece l’occhiolino e si diresse verso l’uscita, poi si voltò, fancendo cenno di seguirlo.
    «Chi era?» Gli domandò subito Matsuda, impiccione come al suo solito.
    «Un’amica.» Rispose semplicemente.
    «Eccoci.» Fece quando giungemmo alla porta d’uscita. Posò la mano sulla maniglia nera e si voltò.
    «Volevo dirvi solo una cosa: qualunque cosa accada non abbiate paura.» Sorrise, per riscaldare gli animi dopo quell’avvertimento agghiacciante.
    Usciti si ritrovarono in un vicolo, proprio come i precedenti in cui erano stati rinvenuti i cadaveri.
    Allora George non mentiva, forse si sarebbe tenuta davvero un'altra strage, forse potevano anche impedire che ciò accadesse.
    Rimasero immobili per alcuni secondi nell’oscurità.
    Neanche una parola, i loro pesanti respiri esprimevano già tutto.
    Nessuno di loro osava muoversi, andare in soccorso dell’ipotetica vittima ne tantomeno chiedere consiglio ai colleghi.
    L’unico che non sembrava in ansia era Geroge, che però aveva assunto una nuova espressione di serietà.
    Dopo minuti di estenuante silenzio bastò un urlo per ribaltare la situazione.
    Tutti accorsero alla fine del vicolo, dove, nascosta dall’oscurità, si celava un’anonima porta marrone.
    Questa si aprì, mossa dal peso del corpo donna, che poco dopo ricadde a terra, in una pozza di sangue. Osservarono inorriditi la scena, poi, facendosi forza, rivolsero lo sguardo verso l’anta ancora in movimento. Scricchiolava, come in un vero film del terrore.
    Si sentì un rumore sordo, un pugnò contro qualcosa di soffice. E qualcos’altro piombò addosso al gruppetto, anzi sopra George.
    Questo senza timore lo afferrò e lo allontanò dal proprio viso. Osservò il suo viso con cura: capigliatura trasandata e corvina, sotto le palpebre abbassate due profonde occhiaie e una carnagione chiarissima. Quello che a George poteva sembrare solo un tipo strambo fece sbarrare occhi e bocca al resto del quartier generale.
    Alcuni balbettarono commenti di stupore e altri non riuscirono nemmeno a parlare.
    Light invece era plausibilmente nervoso, stringeva i pugni e si mordeva il labbro inferiore.
    Poi ci pensò: L era morto, sì era proprio così, lo aveva confermato la morte di Rem, e a quanto dicevano le regole di Ryuk, nessuno poteva tornare in vita.
    Quello era semplicemente il suo cadavere, doveva essere così.
    Osservò George posare lentamente il corpo dell'investigatore a terra.
    «E…e questo cosa significa?» Chiese timidamente Matsuda, completamente sconcertato.
    Gli altri scossero la testa, in segno d’ignoranza. Quella faccenda si rabbuiava sempre più.
    Un altro invisibile secondo sconvolse i fatti: il corpo non era più tra le mani di George e un nuovo personaggio era comparso in scena.
    «Non toccarlo moccioso, guarda che se lo rovini il becchino se la prende con me.» Lo intimò il nuovo arrivato.

     
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  2. .:dark rayquaza:.
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    O.o
     
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  3. ~Lit
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    Ehm, sarebbe positivo?
     
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  4. enri05
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    credo che lo sia :) significa che è sorpreso che tu abbia scritto un bel racconto :) almeno credo...
     
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  5. ~Lit
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    Speriamo xD
     
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    Forumfanatico

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    Oppure tropoo lungo da leggere...
     
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  7. .:dark rayquaza:.
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    O.o... wow... l'hai fatto da 0?
     
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  8. ~Lit
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    Certo, solitamente si fa così.

    Oppure tropoo lungo da leggere... --> Pigro. Intanto leggi il primo capitolo, poi se t'interessa continui.
     
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  9. .:dark rayquaza:.
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    O.o wow, anch'io inizio tutto da 0, ma non scrivo così tanto...
     
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  10. ~Lit
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    Ma perché sono più capitoli, sono partita dal primo e pian piano ho continuato.
     
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  11. enri05
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    a me piace scrivere fan-fiction,ma leggo e scrivo solo quelle che mi piacciono.
     
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  12. ~Lit
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    E questo cosa centra con ciò?
     
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  13. enri05
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    ma se tu sei andato OT in tre topic di fila :D
     
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  14. ~Lit
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    Intanto io sono una ragazza. Io sarò andata OT, però è diverso andare OT da scrivere una cosa che non centra assolutamente nulla all'impproviso u___u
     
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  15. .:dark rayquaza:.
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    Enri non fa niente XD Inoltre siamo fratelli OT XD
     
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15 replies since 22/9/2012, 18:51   96 views
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